L’incanto di Orfeo nell’arte di ogni tempo, da Tiziano al contemporaneo

20 Marzo – 8 Settembre 2024


Palazzo Medici Riccardi
Via Cavour, 3 – Firenze

Una mostra, curata da Sergio Risaliti e Valentina Zucchi, che affonda le radici nei tempi più antichi del mito e ruota attorno alla figura multiforme e metamorfica di Orfeo, poeta, musico e cantore, compagno di viaggio degli Argonauti, sposo prima infelice e poi disperato di Euridice, inconsolabile vedovo dilaniato dalle Baccanti.

La sua figura domina e risplende in Palazzo Medici Riccardi: il progetto espositivo nasce infatti dalla presenza del meraviglioso gruppo marmoreo di ‘Orfeo che incanta Cerbero’ di Baccio Bandinelli – un tempo accompagnato da una lira – nel cortile principale del palazzo di via Larga, dedicando un’attenzione particolare al suo risalto a Firenze e dispiegando fra le sale le vicende del mito. Orfeo è stato infatti soggetto privilegiato dell’arte e della cultura fiorentina a fianco delle emblematiche figure di Ercole, David e Giuditta; presente già nel Quattrocento in una delle formelle di Luca della Robbia del Campanile di Giotto, il figlio della musa Calliope e del re della Tracia Eagro (o di Apollo, secondo altre versioni del mito) ebbe un posto di particolare rilievo nello studio e nell’interpretazione della classicità in età rinascimentale, con sottolineature letterarie, filosofiche e politiche. Tale interesse – che si sviluppò proprio intorno a Cosimo il Vecchio e a Lorenzo il Magnifico grazie agli artisti, ai letterati, ai pensatori e ai poeti vicini ai Medici – è testimoniato da una molteplicità di opere.

A questa straordinaria stagione di filologia e di sperimentazione delle arti e delle lettere risale per esempio la teatrale Fabula di Orpheo di Agnolo Poliziano, stretto amico del Magnifico e traduttore in latino anche delle Argonautiche orfiche, presente in mostra grazie a un prezioso esemplare di entourage mediceo (Biblioteca Riccardiana), affiancato peraltro da una raffinata silloge miniata degli Inni orfici del Quattrocento maturo, segno dell’interesse culturale e religioso maturato nello stesso periodo in ambito neoplatonico. Furono Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino a riconoscere in Orfeo uno dei padri fondatori della prisca philosophia – incrocio sapienziale di teologia, filosofia e poesia – e a dedicarsi alla lettura sia degli Inni Orfici che delle fonti antiche, tra cui Virgilio e Ovidio, oltre a Platone, interpreti e divulgatori classici delle vicende di Orfeo dopo le prime più frammentarie testimonianze (basti pensare ai riferimenti dei grandi Eschilo ed Euripide). Il richiamo di Orfeo nell’entourage mediceo riemerse agli inizi del Cinquecento quando il colto papa Leone X, grazie all’intermediazione del cardinale Giulio de’ Medici, governatore di Firenze, commissionò a Baccio Bandinelli la statua oggi conservata nel cortile del palazzo, perno di questa mostra, emblema di pacificazione e concordia nel delicato clima di restaurazione medicea in città. Perfino Cosimo I de’ Medici non sfuggì al fascino di Orfeo e volle farsi ritrarre da Agnolo Bronzino nelle sue vesti, trasferendo idealmente su di sé il potere ammaliatore e civilizzatore appartenuto al poeta tracio. Già Ovidio ci racconta infatti che il suo canto, accompagnato dalla sua kithara, riuscisse ad ammaliare gli animi delle fiere, gli alberi ma anche ad attirare a sé le pietre, conducendo ad armonia e soavità l’intero mondo terreno: non è un caso che fra le sue prime imprese, narrate da Apollonio Rodio nelle Argonautiche, Orfeo riesca a incantare financo le Sirene, e che persino le Furie sentirono per la prima volta inumidirsi le guance per il suo canto.

Vicino al dio Apollo – a lui si deve il dono della preziosa lira – Orfeo è sin dalle origini prossimo anche a Dioniso e ai culti misterici, conoscitore dei segreti della natura e dell’anima, aderente al mondo conio e ai suoi misteri, in grado persino di attraversarne le viscere: lo si descrive come psicopompo, essendosi addentrato nel regno delle tenebre per cantare davanti a Ade e Persefone, con la preghiera di riportare in vita la sua sposa Euridice.

La definitiva perdita di Euridice sulla soglia della luce, non avendo resistito a rivolgerle lo sguardo, è fra le immagini più note della civiltà occidentale, infinitamente rappresentata e interpretata: è qui utile ricordare che Euridice, il melodramma musicato da Jacopo Peri e da Giulio Caccini su libretto di Ottavio Rinuccini e il cui libretto è esposto in mostra, venne messo in scena la prima volta a Palazzo Pitti nel 1600, in occasione dei festeggiamenti tra Maria de’ Medici ed Enrico IV di Francia; tutti i critici sono concordi a ravvisare in queste forme di poemi cantati gli albori della grande opera lirica che culminerà con l’Orfeo di Gluck nel Settecento. L’eco di questo evento fu tanto grande da ispirare celebri sculture dedicate a Orfeo, tra cui l’ammiratissima opera di Pierre de Franqueville, realizzata per il fiorentino Girolamo Gondi in Francia, poi trasferita nientedimeno che a Versailles e oggi presente in mostra.

Le apparizioni di Orfeo, emblema sublime del potere delle arti ma anche di debolezze, desideri e follie tutte umane, sono proseguite nei secoli: le sue vicende incarnano in effetti i passaggi fondanti della vita, che si dipana fra amore e morte, tra aspirazione e ispirazione, tra accettazione e sfida, tra sublimazione e fallimento. Orfeo è quindi figura complessa e archetipica, cantore e musico ma anche sacerdote di sacri misteri, traghettatore delle anime dal regno dei vivi a quello dei morti; dietro al velo delle sue commoventi parole si nascondono perle di sapienza, verità gnostiche, rivelazioni ermetiche. Egli non muore definitivamente dilaniato e decapitato dalle Baccanti, che non apprezzarono di essere rifiutate dopo la morte di Euridice: perché il mito di Orfeo attraversa il tempo, protagonista assoluto nella musica di Monteverdi e nelle allegorie dipinte barocche, poi nel Settecento e ancora nel Romanticismo, quando si accentuano gli aspetti sublimi dell’amore tra Orfeo e Euridice (è sufficiente apprezzare, in mostra lo struggente dipinto di Ary Scheffer), assieme a quelli oscuri, tenebrosi della mitica discesa nell’Ade e perturbanti della sua fine violenta per mano delle seguaci di Dioniso; per poi diventare oggetto di interesse con il Simbolismo, suscitando l’ammirazione di Redon e Moreau, e di Apollinaire che farà rinascere Orfismo e Ermetismo a Parigi, patria delle avanguardie del XX secolo.

Non meno fascinazione eserciterà Orfeo su Jean Cocteau, che gli dedicherà molti disegni, un’opera teatrale e soprattutto due film, Orfeo del 1950 e Il testamento di Orfeo del 1959. E dall’orfismo sarà affascinato anche Igor Stravinsky, che nel 1947 comporrà uno struggente Orpheus, affiancato dal coreografo George Balanchine. Un magnetismo a cui cederanno anche artisti come Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, Fausto Melotti ed Ettore Colla, le cui opere sono esposte in mostra, ma anche poeti come il già citato Rilke e Dino Campana, a testimoniare le molteplici rinascite di Orfeo e dell’Orfismo, giunte fino ai nostri tempi visto che Calvino, Pavese, Bufalino si sono cimentati con la sua storia, mentre un cantautore di oggi, Roberto Vecchioni, sembra volerci ricordare che: “ogni volta sempre è Orfeo quando c’è canto” (R.M. Rilke).

La mostra permetterà di ripercorrere e attraversare il mito di Orfeo grazie a una ricca selezione di capolavori dell’arte di ogni tempo, a cominciare dal bellissimo dipinto di Gerrit van Honthorst, assunto a icona della mostra. Fra le sale si snoderanno quindi le sue avventure con gli Argonauti e si diffonde il potere del suo canto, in grado di ammaliare gli animali più vari, fino alla morte di Euridice, morsa dal serpente e pianta dal poeta – esemplificata dai superbi dipinti di Tiziano, Delacroix e Moreau – fino alla scenografica discesa agli Inferi, al successivo ritorno sulla terra (potentissima ne è l’interpretazione di Anselm Feuerbach) e alla seconda perdita dell’amata, al suo ultimo canto e alla furia bestiale delle Baccanti, testimoniata dalla testa decapitata di Orfeo di Odilon Redon.

Alle opere figurative saranno accostati preziosi manoscritti provenienti dalla Biblioteca Riccardiana e dalla Biblioteca Laurenziana – fra cui, oltre agli esemplari già citati, una versione istoriata delle Metamorfosi di Ovidio, di ambito mediceo e annotata da Poliziano – e saranno ricordate anche le opere in musica ispirate al mito di Orfeo, evidenziando come esso abbia permeato i diversi ambiti culturali nei tempi ponendosi come figura emblematica non solo della civiltà classica ma anche di quella rinascimentale, moderna e contemporanea. Una speciale sezione della mostra è dedicata alle scenografie, figurini e maschere di artisti che hanno collaborato con il Maggio Musicale Fiorentino, esemplificate in mostra dalle superbe creazioni di Giorgio De Chirico.